Abbiamo intitolato questo post native advertising cos’è, e proprio da qui vogliamo partire per spiegarvi un’altra delle possibilità di web marketing a disposizione di tutte le aziende (a prescindere da budget e dimensioni aziendali). Scopriamo quindi cosa si intende per native advertising e come funziona.
Indice dei contenuti
Native advertising cos’è? Una definizione e caratteristiche dei contenuti native
Partiamo in primo luogo dal definire cosa si intenda per native advertising. La pubblicità nativa è una forma di contenuto pubblicitario che assume la forma del canale sul quale vine pubblicata (ad esempio se utilizziamo Twitter, la pubblicità assomiglierà ad un normale Tweet).
Oltre alla somiglianza dal punto di vista grafico con i contenuti non pubblicitari, un annuncio di native advertising ha anche le funzioni tipiche del media sul quale è veicolato, come ad esempio, sempre riferendoci ai social network più noti, la possibilità di retwettare il contenuto o di mettere un like su Facebook.
La peculiarità del native advertising rispetto alle forme più classiche di pubblicità è la capacità di non interferire con la navigazione dell’utente, che percepisce quindi il contenuto come del tutto assimilabile agli altri contenuti del canale.
Per poter parlare di native advertising infine è necessario che il contenuto sia percepito come interessante e rilevante dall’utente, che non deve quindi avere la sensazione di trovarsi di fronte ad un contenuto che potrebbe giudicare come spam.
Perché il native advertising funziona
Dopo aver chiarito la domanda native advertising cos’è che in molti si saranno posti leggendo il titolo, capiamo ora perché il native advertising sia importante e perché funziona per nelle strategie di web marketing.
La diffusione capillare di smartphone e dispositivi mobili in genere ha consentito il moltiplicarsi di contenuti destinati ad essere fruiti. Questo significa però che un utente medio (il nostro pubblico target non farà eccezione), è inondato da moltissimi messaggi, ai quali dedica sempre meno tempo e attenzione. Secondo alcune ricerche, il tempo medio dedicato da un utente a un contenuto si aggira intorno agli otto secondi, poco, anzi pochissimo, per chi vuole suscitare l’attenzione e attirare un potenziale cliente.
Inoltre è in costante crescita il numero di utenti che utilizza software e app per bloccare le pubblicità durante la navigazione. Secondo la ricerca Ad blocking report del 2015, a metà dello scorso anno erano 198 milioni al mese le persone che utilizzavano questi sistemi per il blocco dei contenuti pubblicitari, con buona pace dei vecchi banner e della pubblicità tradizionale.
Native advertising cos’è: alcuni esempi
Passiamo ora ad analizzare quali siano gli strumenti di native advertising a disposizione di chi desidera utilizzare questa strategia o capire ancora meglio di cosa stiamo parlando.
L’esempio più tipico è un annuncio sponsorizzato in Google, cioè un contenuto a pagamento che viene però mostrato insieme agli altri risultati di ricerca (anche se in una posizione maggiormente vantaggiosa). L’annuncio sponsorizzato si differenzia dalla pubblicità in quanto non appare come un contenuto distinto; tuttavia è facilmente identificabile come contenuto a pagamento, una caratteristica comune a tutti i contenuti di native advertising, che diversamente potrebbero essere percepiti come non corretti dall’utente, che finirebbe per avere una pessima considerazione del brand.
Un altro esempio viene dai contenuti sponsorizzati, promossi anche dai grandi editori. Nel caso di grandi testate, come i maggiori quotidiani, non è raro il caso in cui il contenuto stesso sia prodotto in collaborazione con la redazione. Un articolo sponsorizzato è percepito come interessante dall’utente, in quanto non interrompe o interferisce in alcun modo con la navigazione e veicola contenuti potenzialmente corrispondenti ai suoi interessi.
Abbiamo accennato in precedenza ai contenuti sponsorizzati sui social network come forma di native advertising. I social che offrono questa possibilità aggiungono in molti casi anche la possibilità per l’utente di segnalare se un contenuto non è rilevante o è ritenuto fastidioso, in modo da non ripetere l’esposizione al contenuto stesso ed evitare quindi che l’utente giudichi come fastidiosa questa forma di pubblicità.
Il native advertising funziona davvero?
La risposta alla domanda è sì. Rispetto alle forme pubblicitarie tradizionali, è stato dimostrato come il successo raggiunto dagli annunci di native advertising sia maggiore, soprattutto per quanto riguarda l’identificazione con il brand da parte dell’utente. Gli annunci sono inoltre maggiormente condivisi dagli utenti, e questo permette al brand di raggiungere uno degli obiettivi delle campagne di comunicazione, cioè allargare il proprio pubblico target e quindi i propri potenziali clienti.
Esistono diverse soluzioni e modalità per inserire il native adverting all’interno di una campagna di comunicazione. Per scoprire qual è quella che meglio si adatta alla vostra comunicazione, non esitate a contattarci.